Avvocato a Roma e provincia Iscritta all’albo degli avvocati dopo la laurea in giurisprudenza ho attraversato in modo paradigmatico le trasformazioni del ruolo professionale
per le normative che sono state emanate, ma soprattutto per i cambiamenti sociali e culturali di questi 35 anni. il ruolo tradizionale il ruolo tradizionale dell’avvocato fino agli anni ‘80 presentava un professionista (uso il maschile non come “neutro” ma perché l’accesso delle donne alla professione è avvenuto in modo massiccio e progressivo successivamente) con una preparazione esclusivamente giuridica (26 esami su aree diverse del diritto), un attore individualista sulla scena della giustizia che si intrometteva tra le parti interessate, in genere sprovviste di informazioni giuridiche, e i giudici al fine di chiarire la situazione e far scaturire dal contrasto dei fatti e delle idee la verità che poi doveva essere consacrata nelle sentenze sulla base delle norme generali e astratte della giustizia cieca
doti fondamentali: “una cultura generale e specifica, attitudine alla logica e all’oratoria, probità e correttezza”, eccellente solista ma poco propenso a confondere la propria voce all’interno dell’orchestra ci siamo formati su testi di diritto costituzionale che individuavano nella difesa tecnica un diritto della persona costituzionalmente garantito (art. 2, 24 cost) e che proponevano il sistema della difesa giurisdizionale dei diritti come unico mezzo di attuazione dei valori costituzionali di uguaglianza sostanziale e libertà, di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, diritto alla salute, diritto al lavoro, alla retribuzione sufficiente a una vita libera e dignitosa.
il processo civile ci è stato prospettato come il luogo dove dirimere le controversie al di fuori dei rapporti di forza (economica e sociale), dove un terzo soggetto, indipendente e competente, applicava normative conformi ai valori costituzionali e il giusto processo consentiva a chi avesse ragione di ottenere quello di cui aveva diritto ai sensi degli art. 24 e seguenti della costituzione l’avvocato seguiva un unico copione, quello “avversaria le”: emblematico, nel film “schegge di paura” del 1996, il motto dell’affascinante avvocato martin vain: “in tribunale non è importante aver ragione o torto: l’importante è vincere”.
con la sentenza infatti il giudice distribuisce ragioni e torti, celebra il vincitore e sanziona il soccombente. la persona prospetta il problema all’avvocato e questi si occupa di difenderne in giudizio le sorti, con pieno affidamento alle sue conoscenze tecniche, per cui è l’avvocato che porta dinanzi al giudice e difende “a spada tratta” le convinzioni e i diritti del cliente “contro” l’altra parte (ricordo che i timbri delle copie per controparte, ormai desuete con il processo telematico, portavano scritto copia per l’avversario”). scarso è il potere decisionale dei clienti, per la mancanza delle informazioni giuridiche, massima la delega al professionista che a sua volta delega a un terzo soggetto indipendente la decisione delle questioni sulla base di norme generali e astratte.
in quegli anni scriveva agli studenti delle scuole superiori: «tutti i cittadini hanno il diritto di adire un giudice per far valere i propri diritti (art. 24 cost.); questo diritto alla giustizia è una conseguenza dell’uguaglianza di fronte alla legge. la giustizia non dovrebbe essere arma a disposizione dei ricchi contro i poveri, come per tanto tempo è stata, ma un servizio offerto dallo stato, in condizioni di parità, a tutti. da questo punto di vista si comprende l’importanza che assumono anche le regole del processo.
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